18 Aprile 2008
Sciopero del prosciutto

I suinicoltori hanno deciso di attuare lo sciopero del prosciutto. Il motivo è l’impossibilità di far crescere maiali di qualità che vengono pagati appena 1,15 euro al chilo, ben al di sotto dei costi di produzione.
“La pubblicazione dei dati Istat sull’inflazione – rileva il presidente della Coldiretti del Friuli Venezia Giulia Dimitri Zbogar – ha fatto scattare questa singolare forma di protesta da parte degli allevatori di fronte all’insostenibile crisi del settore che mette a rischio uno dei più prestigiosi prodotti della gastronomia Made in Italy. Gli allevatori – aggiunge Zbogar - hanno infatti annunciato che dal primo maggio non verranno più consegnate assieme ai maiali, le certificazioni di qualità che consentono la commercializzazione del prosciutto a marchio d’origine San Daniele e Parma. Un’azione che rischia di provocare la scomparsa di prosciutto certificato Made in Italy dalle tavole degli italiani”.
La suinicoltura friulana è caratterizzata dalla presenza di 151 allevamenti, riconosciuti ai fini della Denominazione di origine protetta (Dop) Prosciutto di San Daniele e dalla forte specializzazione degli allevatori friulani nella produzione di suinetti, circa 450 mila capi all'anno.
Il sistema produttivo che si fonda sul prosciutto di San Daniele è caratterizzato dai seguenti indici di carattere economico: i produttori sono 30; la capacità produttiva globale supera i 3 milioni di prosciutti anno, ma la produzione a Dop rappresenta l’85% del potenziale; sul prosciutto di San Daniele si concretizza un fatturato di oltre 300 milioni di Euro (2007);  il prosciutto di San Daniele rappresenta circa il 14% dei consumi nazionali di prosciutto crudo (2007);  le esportazioni interessano il 18,% della produzione (2007).
“Nonostante questi dati- spiega il direttore della Coldiretti regionale Elsa Bigai - il compenso riconosciuto agli allevatori è sceso a 1,15 euro al chilo mentre sono drasticamente aumentate le spese per l’alimentazione degli animali con un balzo fino al 30 per cento dei costi di cereali e oleaginose che sono le principali componenti della dieta alimentare dei maiali, ai quali si sono aggiunti rincari anche nelle spese energetiche e la necessità di investimenti nelle strutture e nei mezzi aziendali per ottemperare agli obblighi comunitari. Nella forbice tra prezzi alla produzione e al consumo c’è – puntualizza la Bigai - un sufficiente margine per garantire una adeguata remunerazione agli allevatori e non aggravare i bilanci delle famiglie, ma occorre lavorare sulla trasparenza dei prezzi e della informazione ai consumatori. In Italia sono arrivati in un anno quasi 60 milioni di cosce fresche di maiale dall’estero per essere stagionate e divenire prosciutto in Italia, dove rischiano di essere spacciate come Made in Italy e per questo la Coldiretti chiede di estendere immediatamente alla carne di maiale e ai suoi derivati l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta, che al momento vale solo per i prodotti della salumeria a denominazione di origine. Negli scaffali dei negozi italiani – conclude la Bigai- sono stati stimati che ben due prosciutti su tre provengano da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta e con l'uso di indicazioni fuorvianti come di montagna e nostrano che ingannano il consumatore sulla reale origine”.