14 Marzo 2017
AGROMAFIE, GIRO D’AFFARI DA 22 MILIARDI DI EURO

Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei Casalesi e al controllo del commercio della carne da parte della ‘ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina, i più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola mettendo le mani sui prodotti simbolo del Made in Italy.
Coldiretti, in occasione della presentazione a Roma del quinto rapporto Agromafie2017 sui crimini agroalimentari in Italia – presidenti il direttore di Coldiretti regionale Danilo Merz, il direttore di Pordenone Antonia Bertolla, il direttore di Gorizia Ivo Bozzato e il presidente di Coldiretti Udine Gino Vendrame – , elaborato assieme a Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ha perfino allestito una “tavola delle cosche” con i prodotti frutto dei business specifici dei diversi clan mafiosi, camorristici e ‘ndranghetisti.
Un giro d’affari enorme. Si parla di Le mafie hanno compreso che la globalizzazione, anche nel campo dell'agricoltura, può rappresentare una risorsa per rimpinguare le casse della criminalità. La filiera del cibo, dalla produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, ha infatti tutte le caratteristiche necessarie per attirare l'interesse delle organizzazioni mafiose. Secondo Coldiretti, dopo aver ceduto in appalto ai manovali l'onere di organizzare e gestire il caporalato e altre forme di sfruttamento, i clan condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l'esportazione del nostro vero o falso Made in Italy.
«Tra tutti i settori agromafiosi - si legge nel dossier - quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale e immediatamente percepito come tipico del fenomeno. In alcuni casi sono le stesse mafie a possedere addirittura franchising e dunque catene di ristoranti in varie città d'Italia e anche all'estero, forti dei capitali assicurati dai loro traffici illeciti». Il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5.000 locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città.
Nel 2016 si è registrata pure un'impennata di fenomeni criminali che colpiscono e indeboliscono il settore agricolo: sono ormai all'ordine del giorno i furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti (dai limoni alle nocciole, dall'olio al vino) e animali con un ritorno prepotente dell'abigeato. Tutta opera di veri e propri criminali che organizzano raid capaci di mettere in ginocchio un'azienda, specie se di dimensioni medie o piccole, con 32 delle 106 province considerate (circa il 30,2%) siano caratterizzate da un livello di agromafia superiore alla media nazionale (in testa c’è Reggio Calabria). Si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno, sebbene risultino apparentemente sorprendenti le risultanze relative a Genova (seconda), Verona (terza) e Padova (dodicesima)  L’agromafia risulta essere invece modesta in Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Molise, oltre che in vaste zone della Toscana, del Piemonte, dell’Abruzzo, dell’Emilia Romagna, della Liguria e del Veneto. Le province del Fvg in particolare sono tra quelle a impatto più basso del fenomeno. La classifica da 100 a 106 vede infatti nell’ordine Gorizia (100), Pordenone (101), Trieste (102), Udine (103), Aosta, Bolzano e Trento.

Il dato, per quanto positivo e confortante, non fornisce peraltro indicazioni né sul grado di vulnerabilità dei suddetti territori all’agromafia né sulle ultime dinamiche di un eventuale principio del fenomeno. Gli attuali livelli di intensità del fenomeno agromafia nelle varie province dipendono ovviamente dalle dinamiche passate e dal grado di ramificazione nel territorio delle organizzazioni criminali. Ciononostante molteplici fattori concorrono alla maggiore o minore proliferazione delle agromafie e, al mutare di detti fattori (quali, ad esempio, le condizioni socio-economiche), le infiltrazioni criminose possono crescere più o meno velocemente, se non addirittura regredire. Tra il 2011 e il 2016 il tasso di crescita medio annuo del fenomeno è stato, a livello nazionale, pari a 1,0 punti percentuali.